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Il sogno è svanito, il ribaltone non è riuscito. Per il Monza ora occorre metabolizzare in fretta il tutto e cercare di capire che cosa non ha funzionato. Non tanto nei playoff, ma soprattutto nell’intera stagione.

Il primo grande errore, riconosciuto dalla stessa società in tempi recenti, è stato quello di approcciare il ritorno in serie B con un eccesso di…spirito berlusconiano. “Puntiamo a vincere il campionato”, “Vogliamo la promozione diretta alla serie A” e frasi di questo genere hanno creato aspettative illusorie a tutti i livelli. E soprattutto hanno messo gli avversari che i biancorossi hanno affrontato di volta in volta nelle condizioni di essere motivati e stimolati come quando in Champions League una squadra qualsiasi affronta il Real Madrid. Mi ha colpito una dichiarazione di un tesserato della Reggiana, che, a retrocessione acquisita, ha dichiarato che nel corso della stagione la squadra emiliana si era comunque tolta la soddisfazione di sconfiggere il quotatissimo Monza con un sonoro 3 a 0. Viaggiare a fari spenti e privilegiare la sostanza dei fatti all’immagine e alla forma comunicativa deve essere il primo punto di ripartenza.

Il secondo momento cruciale della stagione è stato l’operato del mercato invernale. Col senno di poi, è evidente che il Monza ha incrementato le scelte a disposizione di Brocchi, creando però un po’ di confusione nell’allenatore per via di una rosa di giocatori sovrabbondante e a causa dell’arrivo di quell’ottimo realizzatore che è Diaw (le sue statistiche prima di Monza parlano chiaro), che è tuttavia risultato totalmente inadatto al calcio praticato dal tecnico. Il quale, dal canto suo, non ha fatto nulla o quasi per sfruttarlo in base alle proprie caratteristiche. 

Il momento decisivo della stagione è comunque arrivato tra metà marzo e metà aprile. Qualcosa di importante è accaduto nello spogliatoio, con il gruppo che, forse anche per la citata abbondanza, ha perso coesione e lo ha manifestato in maniera inequivocabile nella sonora sconfitta casalinga con il Venezia. Questa fase è coincisa con il ricovero in ospedale di Adriano Galliani, che con il suo carisma e la sua esperienza è sempre riuscito a costituire il collante di tutte le sfaccettature caratteriali di cui il fin troppo numeroso gruppo è composto. Brocchi stesso ha fatto cenno più volte a quanto sia pesata l’assenza di Galliani. Ho sempre sostenuto che, dopo il disastro col Venezia, occorresse avvicendare Brocchi per via di uno “spogliatoio” che il tecnico non era più in grado di governare.

Tuttavia, è sbagliato pensare che con Galliani presente Brocchi sarebbe stato sostituito. Perché, se è vero che con Galliani al proprio posto le criticità dello spogliatoio non sarebbero venute a galla, è altrettanto vero che, dopo il tonfo col Venezia ed i pareggi con Entella e Pescara, il Monza viene sconfitto ad Ascoli. E a quel punto Galliani, appena tornato vicino alla squadra dopo la convalescenza post Covid, suggerisce a Berlusconi l’avvicendamento del tecnico, ma non ne trova l’approvazione. Il che è davvero clamoroso, se si pensa che l’attuale AD del Monza ha sempre influito in maniera determinante sulle decisioni calcistiche di Berlusconi, Come quando, ad esempio, con il supporto di Sacchi e Braida, riuscì a convincere l’allora presidente del Milan che Rijkaard sarebbe stato il giocatore ideale per dare il via al grande ciclo della squadra rossonera, a scapito di un certo Claudio Daniel Borghi, che il patron di Arcore adorava e che la storia ha poi dimostrato non essere proprio un fuoriclasse continuo come l’olandese.

La storia è maestra di vita, sosteneva Cicerone. Cerchiamo di farne tesoro.

Paolo Corbetta