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Monza. Abbiamo intervistato Dario Crippa, noto e stimato giornalista monzese del Giorno, nonchè grande tifoso del Monza.



- Dario, partiamo dagli inizi: quando sei andato la prima volta allo stadio?



 “Anno 1987. Ultima stagione del Monza allo Stadio Sada. Ho appena 11 anni. Io e mio cugino, che ha un anno in più del sottoscritto, amiamo il calcio e, per conto nostro, decidiamo di andare a vedere una partita. Non me la scorderò mai più. Si tratta di Monza-Lucchese, i biancorossi pareggiano 1-1 e, a tempo scaduto, tale Pasquale Logarzo, centrocampista, infila la rete del 2-1. Per me è un'apoteosi, comincio a seguire il Monza tutte le domeniche. Anche da solo. Tremila lire (mi sembra) per andare in curva o a volte nei parterre. I biancorossi alla fine di quell'anno saranno promossi in serie B e andranno a giocare al Brianteo che io, che sono di Cederna, ho visto crescere piano piano sotto i miei occhi. Da allora non ho più mollato questa squadra, la mia unica squadra del cuore, anche a costo di essere sbeffeggiato o guardato come un alieno. Ancora oggi. Non tengo per qualche grande della serie A e... per il Monza. Io ho tifato sempre e solo per il Monza.”



Chi ti ha trasmesso la passione per il Monza?



“Di fatto, tutti e nessuno. Il Monza imparai ad amarlo appena mi resi conto di quanto fosse infinitamente più bello seguire una squadra che potevi toccare con mano tutte le domeniche, a 12 anni andai persino in trasferta qualche volta. E poi... non ho mai amato le cose troppo facili, comode e scontate.”



 Qual era il tuo giocatore preferito? E allenatore? 



“Il primo campione che di cui ci si innamora è ovviamente il primo in cui ci si imbatte. E per me quindi fu Gigi Casiraghi, giovanissimo centravanti di quella squadra... Per il giornalino della scuola andai anche a intervistarlo: lui aveva 18 anni, si vergognava tantissimo, io anche di più. Poi quel giornalino non vide mai la luce fino a quando… qualche anno fa, ormai giornalista, mi sono portato Casiraghi in redazione e gli ho dedicato una grande intervista per il mio giornale. In fondo, se ho fatto questo mestiere era anche per chiudere il cerchio...E’ solo una battuta, ovviamente. O forse no. Nel mio cuore voglio menzionare però anche un altro giocatore: Anselmo Spadino Robbiati, da ragazzino lo adoravo. Una domenica riuscii persino a convincere mio cugino inglese a venire a vedere una partita del Monza col Baracca Lugo per farglielo vedere in azione (e Robbiati segnò, su punizione) e spiegargli che Spadino era più forte del ragazzino che all’epoca cominciava a farsi luce nella squadra per cui tifava mio cugino, il Manchester United... un ragazzino che iniziava allora e si chiamava Ryan Giggs! Allenatori? Tre gli allenatori che mi hanno fatto divertire di più, pur senza raccogliere nulla: Boldini e quel pazzo di Sonzogni! E Gigi Radice, che prese il Monza e lo portò per l’ultima volta in serie B. Anni fa provai a intervistarlo, lo cercai a casa… ma era già malato.”



Qual è il pezzo al quale sei più legato?  



“Ho fatto tanta cronaca, il mio settore, ma ripensando allo sport mi piacciono molto le interviste, ho avuto l'onore di parlare con alcuni dei più grandi: per un appassionato (anche) di pugilato come il sottoscritto, l'intervista al Meraviglioso, Marvin Hagler, pluricampione del mondo dei Pesi Medi, mi resterà sempre nel cuore”



Un pezzo che invece avresti voluto scrivere e non sei riuscito?   



“Mi piacerebbe riuscire a intervistare ancora due personaggi in particolare: un Papa, uno qualunque, per provare a scrutare come si sta in quei panni; e, più che altro per puntiglio, Adriano Galliani. Gliel'ho chiesto e me la promesso cinque anni fa, quando ancora tenevo una rubrica dedicata ai grandi personaggi brianzoli. E da cinque anni, continua ad assicurarmi che la farà. Spero che mantenga la parola'. 



Da tifoso a giornalista: è cambiato qualcosa dentro di te quando sei al Brianteo? 



“Sono un tifoso, ma mi piace soprattutto raccontare storie. E quella della tua squadra del cuore è sempre la più bella. L'importante, quando si scrive, è ricordarsi sempre di essere prima di tutto un giornalista. Perché fare questo mestiere ti concede molti privilegi, ma ti dà anche altrettante responsabilità.”



Il grande Giancarlo Besana ti ha segnalato come uno dei migliori giornalisti in circolazione, il nostro direttore Stefano Peduzzi ti ha ribattezzato come un 'fuoriclasse': pensi che avresti potuto fare una carriera più importante? 



“Il giornalista è spesso un po' vanesio e ricevere elogi fa sempre piacere. Tanto più che Peduzzi dirige una delle mie letture quotidiane preferite. E Besana mi stupisce: lui, nel giornalismo sportivo, è una leggenda. Sinceramente, non credevo neppure che avesse mai letto un mio “pezzo”. E quindi grazie di cuore. La carriera? Beh, faccio il lavoro che mi piace, e che sognavo sin da bambino. Sono in un grande giornale, anche se di certo ha vissuto, un po' come tutta la stampa, epoche più gloriose. Quello che ho credo di essermelo guadagnato. Quello che non ho probabilmente non lo meritavo.”



Sei un grande conoscitore di Monza e di tutte le sue storie “maledette” che spesso pubblichi con successo, come mai scrivi poco di calcio?



 “Ho cominciato questo lavoro seguendo alla domenica mattina le partite del calcio Villasanta, ho scritto di basket per anni, ho lavorato anche alla redazione sportiva nazionale del Giorno, ho collaborato con agenzie di stampa e siti sportivi, ma l'amore per la cronaca e per le storie ha vinto. Ed è ancora così, anche se mi piace ritagliarmi piccoli spazi di evasione. Alla domenica, non appena riesco, continuo a tenere una rubrica dedicata alle vecchie storie di questo territorio: mi piace raccontare, ho provato addirittura a pubblicare un piccolo romanzo a puntate che mi ha dato molta soddisfazione sul mio giornale.”



Pensi ad un futuro roseo per il nostro Monza?



 “Futuro roseo del Monza? Da vecchio tifoso non posso che augurarmi di sì. Berlusconi e Galliani hanno conoscenza e soprattutto risorse. Certo non sono due ragazzini e lo sanno. Almeno lo sa Galliani che alla presentazione ha parlato di “ultimo tango”. Speriamo sia davvero qualcosa di romantico”



Siamo entrambi nati nel 1976, una generazione riconosciuta calcisticamente parlando di fenomeni, che abbinava i vecchi valori all’evoluzione delle nuove generazioni, pensi sia così e non solo nell’ambito sportivo?

Che differenza noti fra la nostra generazione e quelle future, tu sei padre, che futuro auspichi alle nuove generazioni?



“Nel '76 sono nati alcuni dei migliori calciatori, da Ronaldo a Shevchenko a Totti. Poi, semplicemente, si va a ondate. Ripenso spesso alle parole del teologo e studioso Alcuino: "La bellezza del mondo se ne va, tutto cambia presto, ogni cosa seguendo una sua legge. Nulla è eterno, nulla è immutabile". Credo valga per tutto. Ho due figlie, mi auguro solo che imparino a inseguire i loro sogni e a cercare di non fare mai del male.”



Gabriele Passoni