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Per chi la naja l’ha fatta ad Aviano, Pordenone era illusione di un po’ di libertà. Domenica 14 dicembre 1986: il carrista che ero ha la giornata libera e il magone mitigato dal fatto che il 24 sarei finalmente tornato a casa per Natale. Esco dalla caserma presto e senza neanche far colazione, dieci km di autobus fino alla solita fermata vicino alla Chiesa. Giornata grigia, freddo allucinante, alla Messa manca ancora un po’, entro in un bar per scaldarmi. Cappuccio e Gazzetta sono un perfetto cocktail antimalinconia e la rosea mi stuzzica: ore 14.30 stadio Bottecchia, Pordenone-Ospitaletto di Serie C2.  E’ l’Ospitaletto dei miracoli di Gigi Maifredi, Nello Cusin, Marco De Marchi, Pietro Strada, Fabio Viviani. Per me è soprattutto l’Ospitaletto di Carlo Rossi, Carletto nei nomignoli sbrigativi ma efficaci di noi ragazzi dell’Oratorio di San Donato. Carletto che su quel campo spelacchiato era il predestinato, Carletto che lo aveva preso il Monza, Carletto che aveva esordito in prima squadra dopo la trafila nelle giovanili biancorosse, Carletto che ci eravamo persi di vista da un po’ di tempo, ormai.  Sto dirigendomi a piedi verso lo stadio quando una macchina rallenta e mi affianca. Si abbassa il finestrino e “Ciao ! Cosa fai qui ?” …. Sono i genitori di Carlo. Mi hanno riconosciuto, mi fanno salire e – squisitamente – si adoperano con i dirigenti bresciani per farmi andare in tribuna con loro. La partita è vibrante ed il terreno pesante la rende ancora più intensa. L’Ospitaletto sta dominando il campionato ed è un meccanismo imbattuto e perfetto innestato da quella mentalità offensiva che tanto caratterizzerà il suo allenatore negli anni seguenti. Il Pordenone naviga a metà classifica ed attinge al mitico orgoglio friulano per sopperire ad una cifra tecnica decisamente più modesta. Carlo propizia il gol del vantaggio (a referto come autorete) ospite, i padroni di casa pareggiano in mischia. L’1-1 diventa 2-2 perché nei minuti di recupero c’è un incredibile ed adrenalinico botta e risposta nel breve volgere di sessanta secondi. Il tempo di una cioccolata bollente nel baretto della tribuna e Carlo esce dagli spogliatoi. Inizialmente si stupisce di vedermi lì poi cominciamo a parlare di calcio, mi presenta ad alcuni compagni di squadra e chiede a mister Maifredi il permesso di tornare in macchina con i suoi. Ci abbracciamo per salutarci e mi chiede “ma quanto è distante da qui la tua caserma ?”  “Una decina di chilometri” “Papà allora lo riportiamo noi !” ed il Signor Rossi annuisce immediatamente. Mi lasciano dalla parte opposta dell’entrata principale dove c’è una cabina telefonica: 10 gettoni per telefonare a casa e raccontare di un pomeriggio freddissimo che però mi ha scaldato il cuore. E che ricordo nitidamente a 34 anni di distanza.

Sono tornato al Bottecchia il 26 Gennaio 2003: era il Monza del duo tragicomico Belcolle-D’Evant. Il Pordenone punì al 89’ su sacrosanto calcio di rigore una squadra bislacca senza capo né coda. Ci sarebbe tanto da raccontare anche su quella infausta trasferta ma da inguaribile romantico ho preferito trasmettere le emozioni positive dei tempi della naja di un monzese in quel di Aviano: dove la moderna professionalità della base Nato strideva clamorosamente con l’anno di vita di guardia ad un cortile buttato dai ragazzi di leva italiani.

Fiorenzo Dosso