x

x

Paolo Monelli e le sue ragazze
Paolo Monelli e le sue ragazze

È una vicenda che lascia l’amaro in bocca e solleva forti interrogativi sul reale impegno dei club calcistici verso il movimento femminile. L’AC Monza, società da sempre protagonista nel settore maschile, ha deciso di chiudere i rubinetti al femminile, lasciando 66 ragazze senza squadra nonostante la recente promozione in Eccellenza — conquistata con una giornata di anticipo e un campionato dominato sul campo.

La denuncia di un tifoso sui social 

Questo il post di un tifoso su alcuni gruppi Facebook: 

«È vergognoso e ripugnante che 66 ragazze siano state lasciate a casa proprio ora», definendolo un «oltraggio e uno schiaffo in faccia all’intero movimento femminile». È un messaggio duro e diretto, che mette in luce un problema profondo: al calcio femminile si continua a riservare un trattamento secondario, facilmente revocabile.


Monza entra in un nuovo club… ma abbandona il progetto autonomo

Come si vociferava da tempo, il Monza ha annunciato una collaborazione con uno dei club storici del territorio, puntando sulla sua struttura e sullo sviluppo del settore giovanile femminile. In altre parole, il Monza rinuncia al proprio progetto indipendente per “esternalizzare” il femminile, affidandosi a una realtà già esistente.

Se da un lato questa operazione viene presentata come un sostegno al calcio femminile locale, dall’altro rappresenta una brusca interruzione del lavoro fatto in questi anni con le proprie atlete, che ora si trovano escluse, senza possibilità di proseguire il cammino sportivo nel club che hanno contribuito a far crescere.


Un doppio messaggio ingannevole

Da una parte, la chiusura della prima squadra femminile alimenta un forte senso di tradimento tra le protagoniste della promozione. Dall’altra, la collaborazione con un altro club viene comunicata come una scelta lungimirante. Ma non basta “sostenere” un altro progetto per cancellare la responsabilità di aver smantellato il proprio.

Il rischio è che questa operazione venga percepita come un trasferimento d’immagine, più utile a livello di comunicazione che di crescita concreta. Chi ha dato tutto in campo si ritrova fuori dai giochi, senza spiegazioni né alternative.