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Massimo Brioschi (1969) è stato un terzino/mediano cresciuto nelle giovanili del Monza, con cui ha intascato poi 97 gettoni in prima squadra, in B e C1, tra il 1986 e il 1991 (per lui anche un triennio da allenatore delle giovanili poi). Successivamente ha raggiunto anche il nobile palcoscenico della A, con la casacca del Piacenza di Gigi Cagni, in un'epoca in cui la massima serie italica era fortemente competitiva.

A Sport Piacenza, per la rubrica “Migliori Anni del Piace”, ha rilasciato una lunga ed interessante intervista, ricca di aneddoti anche sull'esperienza brianzola. Ve ne proponiamo uno stralcio con i passaggi relativi al Monza:

Massimo Brioschi, nato nel 1969 a Monza. Scuola Calcio oppure Oratorio? E già qui ci scappa da ridere.
«Oratorio, senza dubbio».

Volevo ben dire.
«Pregare poco, giocare molto».

Spiega spiega, che qui viene lunga.
«Il calcio era dentro di me. Ho una foto in casa in cui sono alto nemmeno mezzo metro e quasi c’è il pallone che è più grande di me. Non provengo da una famiglia di calciatori, mio fratello ad esempio era uno studioso. A me piaceva andare all’Oratorio, pregare poco e giocare molto. Le nostre scuole calcio erano due giubbe messe giù da pali e via, giocare».


Altri tempi.
«Sicuramente oggi il calcio è cambiato. Ho in mente una frase del vecchio e storico massaggiatore del Monza, Viganò. Diceva sempre: “Il miglior allenatore è il prete. Si affaccia alla finestra, ti butta la palla alle due del pomeriggio e la richiama su alle sette di sera. Oggi, invece, è tutto organizzato nel minimo dettaglio. Una volta si giocava, si giocava e ancora si giocava, tanto che sono uscite generazioni di calciatori eccellenti. Era un modo diverso di intendere questo sport tuttavia, ripeto, i tempi sono cambiati».

Uno sport che entra ben presto nella tua vita a tuttotondo?
«Direi di sì. Dopo aver iniziato nella squadra del mio paese, il Biassono, passo alle giovanili del Monza nella categoria Pulcini. Da lì ho iniziato a giocare in modo diverso, più professionale, attraverso tutte le categorie. Le basi erano semplici e tutto era incentrato sulla continua ripetizione di gesti tecnici. Devi sapere che il Monza in quel periodo era una bella fucina di talenti».

Ad esempio?
«Conservo ancora una foto degli Esordienti. Se guardo la formazione ci siamo io, Antonioli, Casiraghi, Robbiati e Cristiano Giaretta che ha avuto una carriera più da dirigente ma ti assicuro era molto forte. Tra noi, chi più e chi meno, in molti hanno fatto una strada importante».


Riscaldamento fatto. Passiamo alla mitragliata: Gullit?
«Col Piacenza l’ho affrontato quando giocava nella Sampdoria ma dell’olandese conservo un ricordo più vecchio. Sono nel Monza e ci giochiamo a San Siro un turno di Coppa Italia. Siamo nel tunnel che porta al campo, lui era alla mia stessa altezza ma stava due gradini sotto. I “migliori anni” davvero».


Il tuo amico Casiraghi?
«Se dovevi andare in guerra prendevi su lui, senza dubbio. Un gladiatore. Una volta prima di vedere un cartellino giallo dovevi darle via seriamente, lui già nelle giovanili al Monza prendeva botte per tutta la partita e non diceva nulla anzi, più gliele davano più si gasava. Ti avvicinavi per litigare con il suo marcatore e Gigi se n’era già andato. Peccato davvero che abbia chiuso così presto la carriera a causa di un bruttissimo infortunio».


La partita dal valore particolare per Brioschi?
«Ce ne sono tante. Ricordo volentieri le finali di Coppa Italia vinte con il Monza in Serie C (87/88 e 90/91 ndr). Ovviamente Cosenza e poi quando segnai il mio unico gol in A, a Lecce. Cross del Turro e centrai un movimento che avevamo provato centinaia di volte».


I più forti con cui hai giocato?
«Te ne dico due. Giovanni Stroppa al Monza, potenzialmente un fuoriclasse assoluto. E poi dico Totò De Vitis senza ombra di dubbio».


Hai un rimpianto nella tua carriera?
«Certamente. Ho fatto una carriera dignitosa e soddisfacente però con una testa diversa, magari più matura, avrei potuto fare qualcosa in più. Mi sarebbe piaciuto giocare a quei tempi con la testa di oggi. Avrei qualcosa da dire a quel Brioschi lì, lo farei sedere sulla seggiola per fargli un discorso. Da un altro lato sono contento perché non ho mai guardato troppo indietro, mi sono rimboccato le maniche e mi sono costruito questo mestiere nelle Assicurazioni».

QUi per leggere l'intervista integrale

Fonte: sportpiacenza.it