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Il capitano del Monza Matteo Pessina ha rilasciato un'intervista a "Il Calciatore", l'app ufficiale dell'Associazione Italiana Calciatori. Questi i pensieri del giocatore brianzolo sul suo percorso calcistico, divulgati a Pino Lazzaro: “Per quel che mi ricordo, ho iniziato subito, prestissimo, a 3 anni lì in cucina con mia nonna, con mio padre si giocava invece sul corridoio. Prima squadra La Dominante, a Monza, noi s’abitava a Besana, mia madre a fare da tassista, c’era pure mia sorella che faceva danza da accompagnare e andare a prendere. Al tempo ce n’erano poche di società, sempre mia mamma a informarsi e ho tuttora un ricordo limpido di quel mio inizio, ne avevo 5 di anni, si giocava in una palestra ed è stato l’anno dopo che siamo andati su un campo”. Bravi i miei “Quanto mi piaceva, la partita alla domenica, io bravino, già un po’ mi notavano, il campionato e quando facevo gol sul giornale uscivano due righe, c’era anche il mio nome, mi caricava. Via via è stato così un crescendo e i miei sono stati intelligenti, come lo sono adesso: quel che a loro premeva era che mi divertissi, mio padre commercialista, mia madre architetto, mai “esaltati”, mai a vedermi come una possibile macchina da soldi”. Qualcosa in più “L’idea del calciatore l’ho sempre avuta, sempre. Posso dire che sì, mi piace per esempio il disegno e la stessa architettura, però era giusto il calciatore quel che volevo fare. È stato a 14 anni, al Monza, che ho cominciato a capire che potevo magari farcela. C’era come diesse Andrissi, siamo grandi amici ora, lui lì a dirmi che sarei salito in pianta stabile in prima squadra, per poi continuare a giocare le partite con gli allievi. Che c’erano parecchie squadre interessate a me, ma che mi consigliava di rimanere, di crescere lì e lo stesso pensavano i miei: così ho fatto” Studente “I primi due anni a un liceo scientifico pubblico, poi con la proposta del Monza altri due ne ho fatti in uno privato. Quell’estate a Lecce, lì con mia madre a vedere a quale scientifico andare, poi subito a Catania e così l’ultimo anno mi sono messo a studiare da solo e la maturità l’ho presa a Monza, sono uscito con 75. Ora sono iscritto all’università, indirizzo economia-marketing”. Un lavoro “Devo dire che il calcio l’ho sempre sentito come un lavoro. Certo, tutti vorrebbero farlo, però non mancano i sacrifici, ripenso a quando avevo 13-14 anni, a inizio luglio gli allenamenti, i fine settimana che non esistono, c’è la partita, gli amici che se ne vanno in giro… sì, è un lavoro a tutti gli effetti e certo, poterlo fare è praticamente il sogno di tantissimi, pure siamo pagati per farlo, però… è comunque un lavoro”. Prof a 5 anni “Serio, come dici tu, lo sono sempre stato. Volevo diventare un calciatore e non è mai stato un peso. Quindi da sempre sono stato attento, come mangiavo, riposavo eccetera. In più, via via, l’aiuto delle persone che ho avuto e ho attorno, vedi per dire il nutrizionista, così da far meglio quel che potevo migliorare. Posso dire comunque che l’indole da prof già l’avevo a 5 anni, è così”. Uno su mille “Quel che ci ho messo di mio è nient’altro che spirito e testa, è questo che ho sempre avuto in mente, anche allenarmi non è mai stato un peso, si vede che gli altri 999 preferivano fare altro piuttosto che star lì a costruirsi… è la testa che soprattutto conta, è più importante dei piedi”. Gavetta “Dopo la prima C col Monza quel che volevo era giocare e Lecce era pure una piazza importante. I miei d’accordo, però di partite ne ho giocate proprio poche, allora subito a Catania e lì ancora meno ed è poi arrivata la chiamata del Como, Gallo allenatore, c’era pure Andrissi, lì sì ho giocato ed è partito tutto. Tra Lecce e Catania mi pare d’aver fatto in tutto 5 presenze ma per me è stata l’esperienza più importante della mia carriera: ho capito che non era certo facile, ero tanto arrabbiato però non mi sono mai lasciato andare”. Ahi, i social “Quel che mi piace meno di questo nostro mondo è ora il ruolo dei social. Tutti scrivono e parlano, anche coloro che non sono esperti, una marea di giudizi che la gente ascolta pur se non c’è dietro una base solida. E i social sono una parte importante adesso e mi piacerebbe fossero gestiti un po’ meglio, non so come e non so se nemmeno sarà possibile. E gli insulti che ti arrivano se non giochi bene, tutti che si sentono in diritto di dire la loro e lo fanno molto spesso in una forma esagerata, che può far male e può buttare giù”. Il divertimento? “Che vuoi, io mi ritrovo a venire qui in campo col sorriso, come sapessi di poter avere una sorta di sfogo. E questo si ripete per tutta la settimana, nel nostro centro sportivo, aspettando la domenica, c’è la partita, l’atmosfera del prima e del dopo, magari si vince, l’esultanza dei tifosi… ecco, questo per me è divertimento”. Io, capitano “No, nello spogliatoio non sono mai stato un chiacchierone, però, all’occasione, quando serviva, mi sono sempre esposto, senza tirarmi indietro. Ora come capitano rivado a quelli che ho avuto, cerco di prendere da loro, ricordandomi e “copiando” le scene belle e lasciando stare quelle brutte, quelle che non mi piacevano. All’inizio, col Monza, ho avuto Grauso come punto di riferimento, all’Atalanta il Papu Gomez e Toloi, Chiellini e Bonucci in Nazionale. Sto cercando insomma sempre di capire come agire, quale possa essere il modo migliore, anche “attaccare al muro” come dici tu chi si comporta male o parlare da solo a solo quando serve. Di base comunque il rispetto della squadra e la difesa dei compagni”. Con gli arbitri “Con loro non credo di aver mai superato quella linea che divide il rispetto dalla maleducazione, anche per questo credo che pure loro mi rispettino. Sono persone, non sono macchine e ho in mente l’arbitro di domenica scorsa (contro lo Spezia, l’esordiente in A, Daniele Perenzoni), ho visto bene quanta tensione si sia sciolta sul suo viso al fischio finale: ‘in bocca al lupo e benvenuto in Serie A’, così l’ho salutato”. Un passo indietro? “No, tornare qui a Monza non lo considero un passo indietro. Per due anni all’Atalanta abbiamo fatto la Champions, è vero, però l’anno scorso siamo arrivati ottavi, fuori dalle Coppe ed è capitata questa occasione, la prima e storica Serie A del Monza: per me un onore. Con quel progetto grande che qui c’è, anche per questo ho detto sì. Un club all’avanguardia, un centro sportivo nuovo, una rosa in maggioranza di italiani, lo stadio in gran parte ristrutturato e devo dire che in questo tempo tutto quanto m’aveva detto a suo tempo Galliani ho visto che lo stanno realizzando. Ripeto, per me è un onore”.