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Pierluigi Frosio ha regalato al mondo del calcio innata eleganza ed idee moderne, in un viaggio che in più di mezzo secolo ha avuto Perugia e Monza quali principali tappe e che ha raccontato al Giornale di Monza: "Da ragazzino ero bravino col pallone e sotto falso nome, dato che non avevo l'età, partecipavo a qualche torneo serale. Dopo una parentesi sulla bicicletta, che era stata aperta da amici appassionati del mezzo, non passai la visita medica per l'idoneità e ritrovai il pallone: una amichevole contro la Gerardiana allenata da Giancarlo Besana fu la mia fortuna, perché quando a sua volta la Pro Sesto venne per osservare due miei compagni, mi prese e tutto cominciò".

L'esordio nella massima serie grazie a Bersellini

Facendo un passo alla volta, senza l'ansia di sfondare nel calcio professionistico, il classe 1948 acquisisce esperienza e autostima e quando arriva l'ora di sgambettare in Serie A, non può che rispondere sicuro 'Presente!': "Feci la Rappresentativa di Serie D a Sesto, conobbi i primi giocatori veri (Brenna ex Spal e Gerosa ex Genoa) a Legnano, poi l'anno di Rovereto e l'approdo alla corte del monzese Radice, in Romagna. Quello di Cesena era un bell'ambiente: c'erano Ceccarelli e Braida centravanti e centrammo la promozione, ma in Serie A feci poco più che l'esordio. Mi ruppi lo zigomo e pregiudicai l'annata '73-'74".

L'ingresso in campo era spesso con gagliardetto in mano

Perugia ("Mi prese Ramaccioni, anch'egli si era fatto le ossa nell'esperienza cesenate") e l'Umbria sono un mondo tutt'altro che noto: "A quei tempi in molti non sapevano se fosse in Toscana, la città era conosciuta solo per la Perugina. Io stesso, andando a fare le visite mediche, esprimevo i dubbi a mia moglie. Non sarebbe stato meglio l'Arezzo? Era una formazione competitiva.. Ma come a volte capita, il calcio è come la vita e accadono cose che non aspetti: il Perugia, reduce da una salvezza difficoltosa e con una rosa di fatto tutta nuova, conquistò per la prima volta la massima serie e gli amaranto scesero in Serie C. Fu mia l'ultima esultanza al Santa Giuliana: trafissi il Novara con un cross sbagliato".

Il costruttore di gioco abruzzese

Il Grifo è un gruppo affamato e spensierato, i legami tra i i giocatori e con la città alimentano l'entusiasmo e dopo il trauma della morte di Renato Curi ("Un anno prima grazie a lui superammo la Juventus, nell'ottobre 1977 il dramma in un pomeriggio di pioggia, sempre contro i torinesi. Era il nostro costruttore, una sorta di Verratti: una settimana dopo non eravamo sul campo di Napoli, i partenopei dopo una manciata di minuti vincevano 3 a 0") l'apoteosi nella stagione '78-'79: "Fummo i primi in Italia a terminare un campionato senza sconfitte: espugnammo Torino, dove i bianconeri non cadevano dal 1970, derby esclusi, e rimontammo in 9 contro 11 due reti all'Inter. Il grave infortunio di Vannini e il mio ginocchio che salta prima dello scontro diretto a Pian di Massiano grazia il Milan: a quel punto cercammo solo di preservare l'imbattibilità".

Di quel gruppo Frosio era diventato il Colonnello, così lo chiamava D'Attoma: "Mi piaceva il soprannome, appena arrivati in Serie A il buon Ilario Castagner mi cambiò ruolo, da stopper fui impostato come libero con licenza di costruzione e inserimento. Il mio mito era Ruud Krol: giocatore moderno, lancio lungo e preciso, maglietta fuori dai calzoncini e cavigliere bianche. Solo la coppia in marcatura era fissa, noi eravamo interscambiabili: un progetto di modernità che non poteva che trovare le giusti radici con un presidente avanti di dieci anni.. La sponsorizzazione del Pastificio Ponti, l'affitto per un'annata (quella che deflagrò nel calcioscommesse per quattro perugini) di Pablito Rossi, che Boniperti aveva sfilato alle buste a Farina, ma che gli operai della Fiat non riuscivano a digerire".

Nel finale di carriera l'occasione mancata e la scoperta della predisposizione: "Non rimpiango di non aver indossato la maglia azzurra, in fondo Scirea e Baresi erano più giovani. Quando il milanista fu a lungo indisponibile per un virus, Radice pensò a me, ma la dirigenza umbra si impuntò: presero Venturi dal Brescia, ma non si salvarono. Peccato perché l'anno dopo a Milano arrivarono Castagner e Ramaccioni.. Sacchi invece mi allenò a Rimini, era il mio ultimo anno: sfiorammo la promozione con una banda di ragazzi, imparai nozioni che mi tornarono utili in panchina".

Il Monza della doppietta: che debutto in una Prima Squadra!

E qui l'avventura è da subito entusiasmante: "Non so chi fece il mio nome al Monza, avevo condotto per due campionati Berretti e Primavera del Perugia al terzo posto, dietro le romane. Il dg Marotta e il ds Maggioni chiesero di valorizzare i giovani, ma quei giovani, supportati dai senatori Bolis, Fontanini e Saini, erano uno spettacolo e dopo qualche 0 a 0 di troppo iniziale, volammo: Antonioli e Pinato, che nel finale firmò il record di imbattibilità, garantirono prestazioni continue e bissammo la promozione con la Coppa Italia di categoria, vinta contro il Palermo. Fu l'ultimo match al vecchio Sada e c'erano tifosi fino a Largo Mazzini".

Frosio indica la strada giusta (Fonte: 100x100 Monza)

La salvezza del secondo anno ("Di Marzio a Catanzaro mi disse che avrebbe cambiato la sua tranquilla posizione di classifica con la qualità del mio Monza") non trova conferme, poi: "Lo spareggio di Pescara fu risolto da un episodio su calcio piazzato. Girò male: la classifica avulsa premiò Barletta e Cosenza, Bivi sbagliò un rigore clamoroso a Foggia, ma avevamo carenze in attacco".

Monza in Serie C, Frosio in Serie A: "Grande occasione e grande rimpianto. Mi aveva voluto Cesare Bortolotti, che morì in un incidente prima del debutto. L'inizio fu super: due vittorie e Juventus fermata a Torino, poi cominciammo gli impegni europei e la rosa non era all'altezza numerica. Eliminammo la Dinamo Zagabria di Boban e Suker, il Fenerbahce e il Colonia, ma non giocai i quarti Uefa contro l'Inter perché tre ko di fila in campionato, con l'Atalanta fuori dalla zona retrocessione, significarono l'esonero".

Prima di sedersi per la seconda volta sulla panchina biancorossa, ci sono Como, Novara e (due volte) Modena: "Il Monza battè i lariani in volata espugnando Lugo; i piemontesi del petroliere Armani centrarono la promozione, io sostituii Ferrario; all'ombra della Ghirlandina prima il rinnovo su cui eravamo d'accordo saltò perché i Canarini corteggiarono Maturana, poi una proprietà di banditi ci regalò una penalizzazione per illecito amministrativo e me ne andai".

"Rilevai Bolchi e salvarsi non era affatto scontato: partimmo con un 3 a 1 alla Fidelis Andria e ci fu di grande aiuto Francioso. L'anno dopo i giovani pervenuti dal Milan centrarono la salvezza e ci fu l'esplosione di Oddo, preso dal Napoli. La mia ultima volta al Monza era di fatto segnata dal ritiro: la squadra fu allestita man mano, agli inizi c'era il solo Vignaroli e dopo la sconfitta con l'Empoli mi subentrò Antonelli" spiega l'allenatore, che considera soddisfacente anche quel secondo mandato.

Prima di guidare i giovani sempre al Monzello ("Collaboravo con Peroncini e Angelo Colombo nell'era Begnini") e alla gloriosa Aldini ("La dirigo da dieci anni, ma ora è il momento di lasciare spazio alle nuove leve"), le ultime esperienze significative sono Padova e Ancona: "In Veneto con vecchi marpioni contendiamo la cadetteria all'Albinoleffe, all'ombra del Conero un'allegra rimpatriata con Buriani e Centofanti miete a lungo risultati inattesi".

Ecco infine gli Oscar assegnati a quei ragazzi che vestivano il biancorosso: "Saini il più affidabile, Stroppa il più talentuoso, Casiraghi il più incredibile (aveva uno strapotere fisico tale da darci sempre vantaggi, o un gol, o un rosso all'avversario), Campolonghi e Clementini si dividono con bonomia la palma di più indisciplinato. Quanto ai due allenatori che si propongono in Serie A, D'Aversa è sottovalutato, mentre De Zerbi, che arrivò come stellina rossonera e non si impose, esprime un calcio gradevole. Potrebbe essere nelle corde del Monza di Berlusconi.."

(FONTE FOTO COPERTINA: 100X100 MONZA)

Antonio Sorrentino