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Il 21 luglio 2001, nel complesso del liceo Pertini di Genova, allora adibito a centro stampa del Genova Social Forum, le forze dell’ordine effettuarono un’irruzione che sfociò in un’ondata di violenza. Reparti mobili della polizia e battaglioni dei carabinieri presero d’assalto la scuola Diaz, arrestando 93 persone, di cui 61 rimasero ferite, tre in prognosi riservata e una in coma. L’episodio, descritto da un vicequestore come una “macelleria messicana”, fu seguito da un complesso iter giudiziario, reso difficile dall’impossibilità di attribuire responsabilità individuali precise. La vicenda, nota come la “mattanza” del G8, rimane un simbolo di abuso di potere e gestione fallimentare dell’ordine pubblico.

Il ruolo di Filippo Ferri nei fatti del G8

Secondo la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 18 maggio 2010, Filippo Ferri, all’epoca capo della squadra mobile di La Spezia e chiamato a Genova per gestire l’ordine pubblico durante il G8, giocò un ruolo chiave nell’operazione alla Diaz. Presente sin dall’inizio, Ferri si trovava tra i “pattuglioni” incaricati di individuare i black bloc, i manifestanti accusati di aver scatenato disordini. Arrivò alla scuola in tempo per assistere ai tentativi degli occupanti di chiudere il cancello per impedire l’ingresso delle forze dell’ordine. In seguito, insieme a due colleghi, redasse il verbale degli arresti, assumendo decisioni cruciali che avrebbero segnato l’esito dell’operazione.

Le accuse di falso e le “prove” controverse

La condanna di Ferri si basò principalmente sul reato di falso aggravato. I giudici stabilirono che fu lui a decidere di contestare agli occupanti della Diaz il reato di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, basandosi su perquisizioni che presentavano evidenti forzature. Tra le “prove” utilizzate, spiccavano due bottiglie molotov, in realtà sequestrate nel pomeriggio, e attrezzi da lavoro provenienti da un cantiere vicino, presentati come indizi della presenza di “violenti” nella scuola. Per giustificare questa narrazione, Ferri convinse un collega scettico sostenendo che l’autorità giudiziaria avrebbe potuto successivamente riqualificare i fatti. La convocazione dell’addetto stampa, secondo la sentenza, confermò l’intento mediatico dell’operazione, volta a legittimare l’irruzione. La prescrizione salvò Ferri dall’accusa di arresto illegale, ma la condanna per falso rimase.

Una nomina che divide

questura

La designazione di Ferri a questore di Monza, dopo il suo recente ruolo alla polizia ferroviaria di Milano e un periodo come consulente per la sicurezza del Milan durante l’interdizione, solleva interrogativi. Ventiquattro anni dopo il G8, la sua nomina sembra riflettere un tentativo di lasciarsi alle spalle un capitolo doloroso, ma per molti riapre ferite mai rimarginate. La sentenza della Cassazione del 2012 ha sancito la sua responsabilità in uno degli episodi più gravi della storia recente italiana, eppure il suo percorso professionale lo porta ora a guidare la questura di una città importante. La vicenda invita a riflettere sul bilanciamento tra giustizia, riabilitazione e memoria collettiva.