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giovanni galeone

Negli anni ’90 la Serie A era il centro del mondo. Gli stadi pieni, le sigle di “90° Minuto”, i colpi di mercato da cinema. Ma oltre ai campioni in campo, c’erano loro: gli allenatori che hanno reso quel decennio un’epoca d’oro. Cinque uomini diversi per stile e destino, ma uniti dalla stessa impronta: aver dato al calcio italiano un’anima.


Carlo Mazzone, il cuore del calcio italiano

“Er Sor Carletto” è stato l’allenatore che più di tutti ha rappresentato l’Italia pallonara. Quella fatta di panchine di legno, dialetti e dignità. Mazzone non costruiva solo squadre, ma famiglie. Dal Cagliari di Oliveira al Brescia di Baggio, ha saputo mescolare tecnica e sentimento. Il suo “so’ sotto la curva!” resta un grido di libertà e orgoglio, simbolo di un calcio ancora umano, in cui la passione contava quanto i punti.


Giovanni Galeone, il filosofo del pallone

È scomparso ieri, lasciando un vuoto che va oltre il rettangolo verde. Galeone non era solo un allenatore: era un pensatore del calcio. Credeva nella bellezza dell’imprevedibilità, nella tattica come poesia. A Pescara e a Udine trasformò squadre di provincia in piccoli laboratori di libertà calcistica. È stato il maestro di Massimiliano Allegri, ma anche di chiunque abbia creduto che il calcio potesse essere elegante senza essere snob. Un anarchico gentile, col sigaro e le idee chiare.


Zdeněk Zeman, l’eretico del gol

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Con Zeman il calcio d’attacco smise di essere un’utopia. Il suo Foggia – con Baiano, Rambaudi e Signori – cambiò il modo di vedere la Serie A. Pressing alto, verticalizzazioni, ritmo folle: o lo amavi o lo odiavi. Portò la scienza dell’allenamento a livelli mai visti, ma dietro ai numeri c’era sempre un ideale. Zeman fu il manifesto del coraggio in un calcio spesso impaurito. Un poeta scomodo, che preferiva perdere 4-3 piuttosto che vincere 1-0 senza emozionare.


Gigi Simoni, il signore del calcio

Un uomo d’altri tempi, cortese anche nella sconfitta. La sua Inter del ’98 – quella di Ronaldo e di un rigore negato a Torino – resta nella memoria collettiva più di molte squadre campioni d’Italia. Simoni non urlava, insegnava. Sapeva leggere le persone prima ancora delle partite. Portò equilibrio e umanità in un mondo già allora divorato dai titoli e dagli ego. La sua figura, discreta ma solida, rappresenta la nobiltà perduta del calcio italiano.


Francesco Guidolin, il sarto delle idee

Preciso, silenzioso, innamorato del dettaglio. Guidolin ha cucito su misura le sue squadre come un artigiano. A Vicenza portò la Coppa Italia e una semifinale europea, trasformando una piccola realtà in un sogno collettivo. Ovunque andasse – Udine, Bologna, Palermo – ha lasciato ordine, disciplina e calcio pensato. Non cercava i riflettori, ma la coerenza. In un decennio di stelle, è stato la mente lucida, il lavoratore silenzioso che rendeva tutto possibile.


L’eredità di un’epoca

Gli anni ’90 sono finiti, ma questi cinque uomini restano. Mazzone, Galeone, Zeman, Simoni e Guidolin: cinque modi diversi di intendere la vita prima ancora del calcio. C’è chi insegnava con una battuta, chi con uno schema, chi con il silenzio. Oggi che le panchine sembrano sale riunioni e i giocatori marchi registrati, il loro ricordo è una bussola.

Un calcio fatto di umiltà, idee e sentimento. E di maestri veri, come Giovanni Galeone, che hanno insegnato a tutti noi che vincere non è tutto — ma lasciare un segno, sì.