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Angelo Scotti e la sua graziella (foto Nuova Brianza)
Angelo Scotti e la sua graziella (foto Nuova Brianza)

Quel 3 giugno 2007 è troppo recente per i miei Amarcord. Quel fantastico 2-4 al piccolo, civettuolo ‘Ricci’ (il Mapei era ancora un recondito desiderio neroverde) altri colleghi lo possono raccontare con maggior dovizia di particolari. Quell’ entusiasmante poker con annesso clamoroso ribaltone al Sassuolo, vincitore di misura nella semifinale d’andata al Brianteo (l’UPower Stadium non era neppure nei sogni biancorossi più ottimisti), resterà per sempre riassunto dai brividi dalla meravigliosa fotografia di capitan Zaffaroni che a braccia aperte sembra volare ad abbracciare la Pieri. Uno scatto che vale più di mille parole. Una immagine da conservare per sempre orgogliosamente nel cuore. 

Quel 3 giugno 2007 per me è solo un pretesto – bellissimo e carico di adrenalina – per ricordare un tifoso del Monza. Chiedo scusa … per ricordare ‘il’ tifoso del Monza per antonomasia, per definizione, per distacco, per tutto: Angelo Scotti. Lo incontrai il giorno dopo quella vittoria in Via Vittorio Emanuele. Spingendo la sua inseparabile graziella stava spiegando ad una anziana signora in un irresistibile mix di dialetto ed italiano: “Sciura non abbiamo ancora vinto niente ma g’ha sem. Adesso ci sono ancora due partite però i bagaj ier han fa un’impresa ca la restarà in dala storia da questa società … Mi saluti il marito e tante belle cose” Congedò la sua interlocutrice e mi venne incontro con gli occhietti che sprizzavano gioia infinita ed entusiasmo incontenibile: “Ti stan disat ? G’ha la fem ?” Lesse sul mio viso qualche dubbio e capì subito “L’era mej giugà la segunda in ca’ perché lalainscì truarem un bell’ambienten … “ si fece serio e mi mise una mano sulla spalla: “sperem perché prima da murì vurarisi turnà a ca’ nostra. In B. Disi no in A ma almen in B …”

La doppia finale con il Pisa andò come purtroppo sappiamo. Angelo è stato chiamato lassù a dirigere il tifo biancorosso nell’agosto del 2018 senza riuscire a rivedere il ‘suo’ Monza in Serie B. Tantomeno in A. Al funerale la presenza, discreta e defilata, di Zaffaroni (all’epoca tecnico monzese) chiuse idealmente il cerchio dell’abbraccio in quella foto di 11 anni prima: tutta la squadra e tutta la curva si stringevano intorno ad Angelo. Così come il cuscino di fiori e la sciarpa deposti ai piedi del suo loculo ad inizio dello scorso giugno, pochi giorni dopo la vittoria proprio di Pisa, da Vincenzo Iacopino, Roberto Mazzo e Marco Ravasi hanno rivestito significati pieni di brividi: Angelo, ce l’abbiamo fatta! Adesso goditela. 

Il mitico Scotti divideva presidenti, allenatori, dirigenti e giocatori in quattro macro categorie. I ‘cicapaj’ erano quelli che non avrebbero lasciato traccia nella storia del Monza per evidente impossibilità: tecnica, tattica, imprenditoriale, umana. I ‘barlafuss’ raggruppavano coloro che potenzialmente avrebbero potuto ma lesinavano – per indole o pigrizia – impegno, voglia e determinazione. Nei ‘bon’ trovavano posto quelli bravi e capaci. Sul campo o dietro una scrivania, in calzoncini e maglietta o in giacca e cravatta. E poi ecco i suoi preferiti, i ‘nostr’. Chi – come lui – il Monza lo aveva davvero nel sangue: due presidenti (Cappelletti e Giambelli) su tutti più due (Benigni e Colombo) verso i quali esternava perenne riconoscenza. Poi tre mister amatissimi (‘al Gigi, l’Alfredo e Pieren'), poi quelli che avevano indossato la maglia biancorossa prima e successivamente ne erano diventati dirigenti (Braida, Terraneo, Buriani), poi chi aveva dato tanto alla causa indipendentemente dal ruolo e dalle caratteristiche. Nei ‘nostr’ faceva rientrare – bontà sua – pure qualche rappresentante della stampa (aveva una predilezione per ‘al Giancarlo’) distinguendo i ‘lecacù’ da ‘quei che critican per al ben da questa famiglia” … 

Ecco: Il Monza è stato la sua famiglia. Lo ha detto lui stesso centinaia di volte. Con orgoglio e tenerezza. A suo modo Angelo ha precorso i tempi: nell’estate del 2004 – in pieno primo fallimento – aveva annunciato urbi et orbi di voler andare personalmente nella sede del Milan da Adriano Galliani a perorare la causa biancorossa. Perché diceva con disarmante semplicità ‘l’è un di nostr.’  

Una stagione come quella attuale avrebbe letteralmente fatto impazzire di gioia Angelo e tanti altri cuori biancorossi che non battono più. Ma ai quali ognuno di noi racconta  e dedica di volta in volta una sgroppata di Carlos, una parata di Digre od un gol del fante …

Fiorenzo Dosso