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A Monza torna al centro del dibattito una vicenda che intreccia politica, satira e libertà d’espressione. Un caso che sta facendo discutere non solo per il contenuto del film ma soprattutto per le pesanti richieste economiche avanzate dalle parti coinvolte.

Una storia che parte da lontano e che oggi si ritrova sui banchi del tribunale. Il tema? Un film diffuso online che prendeva di mira la precedente amministrazione comunale, tra parodie esplicite, critiche feroci e ironia pungente.

Tra accuse di diffamazione, richieste di maxi risarcimenti e il solito dilemma tra diritto di satira e tutela dell’onore personale, la vicenda rischia di diventare un precedente scomodo per chi fa dell’arte e della comunicazione uno strumento di critica sociale.


Multa e maxi risarcimento: chieste cifre da capogiro

La richiesta è chiara: una multa da 600 euro per diffamazione, ma soprattutto un risarcimento che fa tremare i polsi. L’ex sindaco di centrodestra Dario Allevi ha chiesto almeno 100mila euro, con una provvisionale di 30mila euro. L’ex assessore leghista alla sicurezza Federico Arena, invece, pretende almeno 70mila euro.

La causa? Il film a puntate “Colpo di Grazia”, pubblicato online nel febbraio 2021. Un’opera che, secondo gli avvocati dei querelanti, puntava a screditare l’allora giunta comunale, con riferimenti nemmeno troppo velati alle politiche urbanistiche e alle figure istituzionali.

Gli imputati sono due tecnici

A finire sul banco degli imputati non sono gli autori del film – mai identificati – ma due tecnici che si sono occupati materialmente di diffonderlo in rete attraverso un sito dedicato.

Secondo l’accusa, il film avrebbe generato un “particolare allarme sociale”, con l’obiettivo esplicito di screditare l’ex sindaco e l’ex assessore, utilizzando uno strumento insidioso per la sua rapidità di diffusione, ovvero il web e i social.

La tesi dell’accusa: “Non era solo satira”

Gli avvocati Attilio Villa e Carlo Cappuccio, rappresentanti delle due parti civili, non hanno dubbi: «Non era un'opera di fantasia. I luoghi e le persone erano chiaramente identificabili. Anche la satira deve avere dei limiti».

L’accusa sottolinea come la lesione dell’onore sia avvenuta non solo attraverso la pubblicazione online, ma anche tramite la diffusione di locandine e contenuti social, che avrebbero rafforzato l'impatto del messaggio diffamatorio.

«Nessuno – ha aggiunto l’avvocato Villa – ha ad esempio anticipato che alla fine del film si diceva che tutto quello che era stato raccontato era stato solo un sogno. Questo dimostra che il danno era già fatto».

La difesa ribatte: “Era solo satira politica”

La linea della difesa è altrettanto chiara e netta. Gli avvocati Mauro Straini ed Eugenio Losco hanno chiesto l’assoluzione piena degli imputati. «L’hanno capito tutti che era una presa in giro, fin dalla locandina – ha spiegato Straini – Era un film satirico, una dissacrazione politica, niente di più».

Il film, tecnicamente a metà tra una fiction e un mockumentary, utilizzava il linguaggio del finto documentario per creare un’opera ironica e provocatoria.

Non mancavano riferimenti diretti ma mascherati: il sindaco con la tessera del vecchio Msi (chiaro riferimento ad Allevi), l’assessora “Martina” con tacchi e pelliccia, e il collega “Chicco” con il fazzoletto leghista nel taschino. Parodie evidenti, ma mai esplicitamente dichiarate.

La sentenza è attesa il 10 luglio

tribunale monza

Il processo si è chiuso giovedì 26 giugno con la discussione finale. Ora la palla passa al giudice, che pronuncerà la sentenza il prossimo 10 luglio.

Resta da capire se prevarrà la tesi dell’accusa, che ritiene l’opera un attacco personale travestito da satira, o quella della difesa, che lo interpreta come un semplice esercizio di libertà d’espressione.

Il caso resta aperto e il dibattito, inevitabilmente, si sposta anche fuori dalle aule di tribunale, dividendo l’opinione pubblica tra garantisti e moralisti.


Lunedì torna Monza una città da Serie A da una sede inedita

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