Morte Jordan Tinti, svolta amara in aula: la famiglia non ci sta e promette battaglia

È stato assolto con formula dubitativa il 51enne accusato di violenza sessuale ai danni di Jordan Tinti, morto in carcere a Pavia il 12 marzo 2024. La decisione, presa dal tribunale pavese, ha suscitato profonda amarezza nella famiglia del trapper, che tramite il legale Federico Edoardo Pisani ha annunciato l’intenzione di impugnare la sentenza: “Impugneremo questa decisione a prescindere dalle motivazioni”, ha dichiarato come riportato dalla stampa locale.

L’accusa si fondava su una denuncia precisa di Jordan, secondo cui il compagno di cella gli avrebbe somministrato una dose di quetiapina, per poi abusare di lui. A supporto dell’accusa: due agenti penitenziari, un altro detenuto e certificazioni mediche. Inizialmente, la Procura aveva chiesto l’archiviazione, ma l’opposizione dell’avvocato della famiglia aveva portato a una imputazione coatta. Alla fine, il processo si è concluso con un’assoluzione che lascia l’amaro in bocca ai familiari.

Morte in carcere e maltrattamenti: indagini e ombre

Parallelamente, resta aperta l’inchiesta sulla morte di Jordan Tinti, inizialmente classificata come suicidio. Il ragazzo fu trovato impiccato nella sua cella, ma il contesto di vessazioni e violenze subite ha spinto la Procura ad aprire un fascicolo per omicidio colposo, ipotizzando possibili negligenze da parte del personale penitenziario.

Una delle figure chiave in questa parte della vicenda è Gianmarco Fagà, alias Traffik, coimputato con Tinti per una rapina aggravata dall’odio razziale. Condannato nel 2024 per maltrattamenti ai danni dello stesso Jordan, Fagà avrebbe contribuito a rendere ancora più pesante l’ambiente detentivo in cui il giovane è precipitato. Una storia fatta di abusi, mancate tutele e risposte giudiziarie che continuano a far discutere.

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