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Lo avevo incontrato l’ultima volta esattamente un anno fa, alla presentazione di Amarcord, il primo libro di Fiorenzo Dosso. Allora, presumibilmente, il grande male che lo ha sconfitto ieri, mercoledì, aveva già iniziato il suo corso, senza mostrare però effetti tangibili. Franco Fasoli era quello di sempre, nel fisico e nello spirito. Alto e magro come quando giocava (qualcuno, allora, lo aveva ribattezzato simpaticamente con il nomignolo “stecca”), sempre sorridente, cordiale e dalle buone maniere.

Poi, appreso della sua malattia, lo avevo sentito un paio di volte telefonicamente. Gli chiedevo come andavano le cure e lui mi rispondeva sempre mostrando grinta e determinazione. “Ciao Paolino, la chemioterapia mi massacra, ma io combatto. Mi fa sempre molto piacere sentirti e ti mando un forte abbraccio”.  Sì, mi chiamava affettuosamente Paolino, nel ricordo di quando ero ragazzino e, al seguito di mio padre, ammiravo quel Monza spettacolare che ci ha fatto sognare la serie A negli anni Settanta e di cui Fasoli, poco più che ventenne, era già splendido protagonista. Prima di esserne il capitano al suo ritorno in maglia biancorossa ad inizio anni Ottanta.

Poi tanti messaggi Whatsapp. L’ultimo dieci giorni fa, lunedì 20 novembre. Gli avevo scritto la mattina del giorno prima, perché quello stesso pomeriggio avrei affiancato Dosso nella presentazione del suo secondo libro. Avrei voluto che mi rispondesse subito, lo avrei menzionato nel presentare gli ospiti illustri, i suoi ex compagni di squadra di quel Monza glorioso. Non mi aveva risposto e, considerato che solitamente era molto reattivo, ho avuto un brutto presentimento. E, quindi, non l’ho menzionato. Come detto, ha poi replicato al mio messaggio il giorno dopo, lunedì: “Paolino, va così e così. Non sono momenti buonissimi”. Nessuna altra parola, nessun saluto, nessun abbraccio. Ho subito pensato che le cose non stessero andando bene, ma non pensavo che precipitassero così rapidamente. 

Ciao Franco. Grazie per la tua amicizia, prima ancora che per il tuo contributo ai colori biancorossi. Ti ricorderemo sempre come un grande “libero” e, ancor di più, come un “ragazzo” perbene. Adriano Galliani, già dirigente del Monza di quegli anni ormai lontani ma indimenticabili, ha ottenuto dalla Lega che il Monza possa affrontare la Juventus con il lutto al braccio.  Paolo Corbetta