Monza a stelle e strisce: i pro e i contro (e un po' di storia)
La storia dell'invasione USA nel nostro calcio ed i suoi risultati

E quindi anche il Monza si veste di stelle e strisce (almeno queste sono biancorosse), con Fininvest che non vedeva l’ora di passare la patata bollente a qualcun altro (i 126 milioni di euro di perdite digeriti nelle ultime due stagioni erano rimasti indigesti oltre a molto altro).
Le proprietà americane nel calcio italiano

L’invasione USA nel nostro calcio va avanti da qualche anno. La prima fu la Roma, rilevata nell’agosto 2011 da una cordata guidata da James Pallotta, con il “nostro” Mauro Baldissoni fra i protagonisti dell’impresa. Poi il numero è andato in crescendo e non solo in Serie A, dove ad oggi sono otto le proprietà statunitensi (nemmeno in Inghilterra sono così tante). Nelle serie inferiori ne troviamo oggi quattro in Serie B (oltre al Monza ci sono Venezia, Spezia e Cesena) e almeno quattro in Serie C.
Si tratta di una tendenza generale in tutta Europa, dovuta alla crescita dell’interesse per il calcio negli Stati Uniti. È facile vedere in queste strategie uno sguardo che si allunga fino ai Mondiali nordamericani del 2026, ma i primi investimenti sono iniziati ben prima dell’assegnazione dei campionati, avvenuta nel 2018.
Ma anche senza un Mondiale in casa, le potenzialità finanziarie sono enormi, specialmente per chi vuole fare player-trading (ossia far crescere giocatori per poi venderli). Non sorprende che molte di queste proprietà siano multi-club-ownership, ovvero società che controllano più club in giro per il mondo. Non mancano neppure da noi: Saputo (ma lui è canadese…) ha anche una squadra a Toronto, RedBird possiede Milan e Tolosa, i Friedkin sono proprietari della Roma e dell’Everton.
La novità è che stanno arrivando pure i risultati in campo: a Bergamo con Pagliuca, all’Inter con Oaktree, al Milan con la Supercoppa di Gerry Cardinale, che è pur sempre un trofeo ambito, soprattutto se si vince in un derby…
Le ragioni dell'assalto statunitense
L’interesse per il calcio italiano è dovuto a indubbi vantaggi strategici. La Serie A viene da un decennio di crisi economica che ha reso i suoi club più scalabili rispetto a quelli inglesi, ma allo stesso tempo il campionato è tra quelli più in alto nel ranking UEFA e garantisce ottime possibilità di qualificazione alle coppe europee, e quindi l’accesso a ulteriori guadagni.
La vera attrattiva si deve a ragioni di marketing vero e proprio: i primi club sono stati acquistati a Roma, Firenze, Venezia e Milano, città simbolo dell’Italia a livello internazionale, tra le principali mete turistiche del paese. L’idea di fondo è puntare sul tifoso-turista, a cui offrire un’esperienza che unisca altro alla partita allo stadio. Il Venezia è stato più esplicito di tutti, grazie a campagne promozionali e set fotografici di alto livello.
Pregi e difetti delle proprietà americane
Ma, per dirla tutta, da un certo punto di vista, un tifoso di calcio in Italia dovrebbe augurarsi di non avere mai e poi mai un gruppo statunitense che rilevi il suo club. Perché ovunque siano arrivati gli americani, almeno finora, hanno magari ottenuto anche discreti risultati dal punto di vista dei bilanci, ma sono stati spesso un disastro sotto l’aspetto sportivo.
Uno dei difetti principali sta nell’incapacità di nominare manager italiani esperti. Meglio hanno fatto, per ora, la famiglia Pagliuca (Atalanta) e il fondo Oaktree (Inter), che hanno confermato il management sportivo già in carica.
Diverso il caso di Rocco Commisso, patron della Fiorentina dal 2019. Ha raggiunto tre finali (due europee e una di Coppa Italia), ma sempre perse. E ha venduto sistematicamente i migliori giocatori alla rivale Juventus, facendo infuriare i tifosi: Chiesa, Vlahovic, Nico Gonzalez.
Per Parma, Genoa e Venezia, la gestione americana ha portato a stagioni da retrocessione o quasi.
Il modello Verona e il caso Roma
Presidio Investors e Maurizio Setti sono i nuovi proprietari dell’Hellas Verona. E qui il Monza potrebbe prendere spunto: il presidente esecutivo è Italo Zanzi, avvocato e dirigente statunitense, ex CEO della Roma nell’era Pallotta, e oggi legato anche a Mauro Baldissoni, nuovo volto importante nella galassia biancorossa.
Il Pisa, da circa quattro anni, è di proprietà dello statunitense Knaster, che ha finalmente ottenuto la promozione in Serie A.
Ma il capolavoro in negativo è quello dei Friedkin con la Roma: oltre un miliardo di euro speso in cinque anni, risultati sportivi deludenti, tre allenatori in una stagione e un progetto stadio ancora nel limbo.
Anche la Premier soffre le stelle e strisce
E pure nella Premier League inglese, le proprietà americane non brillano:
l’Arsenal non vince nulla,
il Chelsea ha speso miliardi inutilmente,
il Manchester United si è affidato a Jim Ratcliffe, ma il flop continua,
solo il Liverpool regge con risultati accettabili.
Il futuro del Monza tra speranze e incognite
Lunedì torna Monza una città da serie A da una sede inedita.
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