Passo falso al Partenio-Lombardi: un Monza asettico e deludente perde 2-1 contro l'Avellino
Trasferta amarissima per i biancorossi, che in Campania giocano una partita altalenante e incassano una brutta sconfitta. L'analisi del match.

"Per vincere servono 11 Colombo e non 11 Maradona“.
Nel pieno della sua rivoluzione calcistica al Milan, Arrigo Sacchi non ha mai perso perso lucidità, nemmeno quando rimarcava l'importanza dei “gregari” in un commando di fenomeni. Pensiero che ha sempre animato il Profeta di Fusignano, prendendo come esempio la littorina della Brianza, Angelo Colombo, mediano tuttopolmoni di grande spessore, il biondo della mediana che non si fermava mai, grinta e corsa al servizio della squadra.
L'essenza di Colombo, ex Monza e Avellino, riassume perfettamente il senso e il significato di quanto sia necessario, e indispensabile, combattere per vincere e raggiungere gli obiettivi.
Motore acceso, antenne dritte, cuore e concentrazione: prerogative fondamentali per la Serie B, ossigeno e materia concreta per essere competitivi. Un setting primario che defalca l'estetica e richiama la sostanza, perché la legge del campo conta più di qualsiasi altra qualità.
Dopo la sosta per gli impegni delle Nazionali, il Monza riparte dal Partenio-Lombardi, ma lo fa male, a fari spenti, appiattito nell'atteggiamento, fragile nella testa, poco aggressivo nel primo tempo e troppo tardivo nella ripresa, frenetico nell'abbozzare una reazione che, di fatto, non produce effetti in termini di occasioni e gol.
L'Avellino passa in vantaggio grazie all'autogol di Azzi, poi raddoppia con una rovesciata d'antologia di Russo. Seconde palle vaganti, entrambe in area di rigore, due rimpalli che pendono a favore degli irpini e determinano il risultato.
Alvarez accorcia le distanze nel recupero ma il suo gol non basta per cambiare le sorti del match.
Troppe ombre e poche luci, come il black out calato al Partenio in una sorta di rievocazione della “Notte di Marsiglia” al Velodrome.
Ma in Campania le squadre rimangono in campo e da “Attenti al Lupo” si passa in un attimo a “Nella dei lupi”. Tutto in 90 minuti, durante i quali l'Avellino conquista con merito il successo, approcciando la gara in modo corretto e palesando più voglia di vincere rispetto al Monza.
A spuntarla è Biancolino, classe '77 (4 lettere in più nel cognome e 6 giorni più grande rispetto al coetaneo Bianco), che riporta gli irpini alla vittoria in Serie B dopo 7 anni.
Il Monza ad Avellino fa come la Ferrari a Monza: rallenta, va fuori giri e arriva dietro agli altri. Un parallelo che, visti i recenti accostamenti e i risultati della Rossa, forse è meglio non azzardare.
Meglio 11 cavalli tonici, e quindi 11 Angelo Colombo per garantire efficacia e solidità.

Avellino tonico, Monza spento
Dopo l'1-1 di Bari, il Monza riprende il suo cammino da Avellino.
Bianco conferma l'1-3-4-2-1, sul solco delle ultime gare: Thiam tra i pali; Delli Carri, Izzo, Lucchesi in difesa; Obiang in mediana con Colombo; Birindelli e Azzi sulle fasce, Galazzi e Caprari alle spalle di Mota.
Biancolino modifica l'assetto e si schiera lo stesso sistema di gioco, l'1-3-4-1-2 a specchio, con il trequartista a scalare in fase di non possesso dare densità al centrocampo: Iannarilli in porta, Enrici, Simic, Fontanarosa nel terzetto arretrato; Missori, Palmiero, Sounas, Milan sull'asse intermedio; Insigne dietro le due punte Biasci e Crespi.
Il nuovo sistema permette ai lupi di avere maggiore ampiezza e fluidità tra le linee, adattando il proprio gioco a seconda dell'avversario. Varianti tattiche sperimentate durante il ritiro estivo per togliere riferimenti e non essere intuibili.
Al contrario del Monza, che non riesce a leggere rapidamente il copione del match e, complice la grinta e il buon mordente degli irpini, fatica a organizzare la manovra.
Gioco spezzettato, tanti duelli e seconde palle, poca possibilità di costruire azioni con acume e incisività: la partita resta in equilibrio fino al 33', quando Azzi regala il vantaggio all'Avellino con un'autorete rocambolesca, deviando il pallone su sviluppo di calcio piazzato.
I biancorossi accusano il colpo e non trovano sbocchi per pareggiare i conti alla fine del primo tempo.

Monza all'attacco, Avellino in difesa
Nella ripresa il Monza si riattiva e guadagna metri, con un Avellino che, però, si rintana nella sua metà campo a protezione della porta.
Formazione corta, tutti sotto palla, reparti chiusi e blocco basso a sbarrare la strada: per i biancorossi si riducono le opportunità, le trame di passaggio diventano sempre più orizzontali e solo l'ampiezza garantisce la possibilità di arrivare sul fondo, ma i cross dagli esterni sono imprecisi e gli attaccanti quasi mai pericolosi.
Il Monza ci prova sfruttando l'avanzata dei braccetti, Delli Carri e Lucchesi, ma i campani sono attenti e non si scompongono.
Difendere, soffrire da squadra e sfruttare le chance: è questa la prerogativa dell'Avellino che, con cinismo e tempestività, capitalizza un pallone vagante in area e lo deposita in rete.
L'autore del raddoppio è Raffaele Russo, fantasista col 10 sulle spalle che, con estro e grande coordinazione, sprigiona il suo destro in rovesciata e fa impazzire i tifosi biancoverdi.
2-0 per i padroni di casa e doccia gelata per il Monza, che si sveglia troppo tardi e riduce il gap al 92' con una zampata improvvisa di Alvarez.
Al triplice fischio il risultato rimane invariato: Avellino-Monza termina 2-1.

Crollo verticale nella tana dei lupi
4 punti punti in tre gare e bottino misero nelle due trasferte al Sud, con un pareggio a Bari e una sconfitta ad Avellino.
Pochi alti e tanti bassi, impatto troppo “morbido” alle gare, cali di tensione, squadra asettica e una percentuale ridottissima di tiri nello specchio della porta (2).
Al Monza serve uno switch, e anche in fretta, archiviando l'uscita a vuoto del Partenio-Lombardi e calandosi velocemente nel contesto della B, una categoria che non perdona amnesie e premia chi battaglia fino alla fine. Non c'è tempo di pensare, bisogna agire. E soprattutto fare, giocare con intelligenza e usare l'acetone anziché lo smalto.
Prestazione deludente della squadra di Bianco, sfibrata a livello caratteriale, imprecisa sul piano tecnico e tatticamente in apnea. Ma soprattutto poco brillante in termini atletici, con i biancoverdi più predisposti al sacrificio, alla lotta ruvida, alle marcature asfissianti e al gioco partecipato per togliere ragionamento e respiro agli avversari.
Vittoria per i padroni di casa, ritorno amaro in Brianza per i biancorossi che devono scrollarsi di dosso l'etichetta dei “più forti” e dimostrare di esserlo davvero in campo. Via il fioretto e dentro la spada, quella di Estorre Visconti presente nel logo del club. Con fame, umiltà e cattiveria agonistica, senza dimenticare l'attitudine a interpretare le partite, sporche o pulite che siano, restando sul pezzo e concentrati, a partire dal prossimo impegno all'U-Power Stadium contro la Sampdoria.
Magari studiando soluzioni tattiche complementari per essere imprevedibili e avere un'alternativa da sfruttare a corso.
Perché nel calcio, come diceva il Kaiser Beckenbauer: “Non vince chi è più forte, ma chi vince è il più forte”.
Un adagio da scolpire nella pietra e tenere bene a memoria.
La lezione è servita, ora serve voltare pagina e lavorare, facendo tesoro dei propri errori.
Perché, lo diceva proprio Sacchi a proposito di Angelo Colombo, citando Mandela: "Io non perdo mai: o vinco, o imparo".
E imparare dalle sconfitte è un grande atto di miglioramento.
A cura di Andrea Rurali