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Nei miei tanti anni di corrispondente del Corriere dello Sport da Monza sono stato spesso polemico e corrosivo. Adesso che vado in Curva Pieri dicono che sono diventato più buono, lasciando maliziosamente intendere che invecchiando ci si rincoglionisce. Tutto vero. Mi difendo sorridendo e puntualizzando con un briciolo di orgoglio: nella vita bisogna saper contestualizzare. Ho picchiato giù duro quando tifosi ed addetti ai lavori eleggevano ad idoli onesti mestieranti di terza o addirittura quarta serie. Ora non mi strappo le vesti perché abbiamo preso tre pere a San Siro sbagliando del tutto l’approccio. Semplicemente: dopo averla tanto attesa e sognata adesso la Serie A me la godo. Tutta. Il che non vuol dire non vedere e sviscerare i problemi ma inserirli in un contesto che – per il secondo anno consecutivo – è straordinariamente positivo per chi, parlo di me in modo come sempre duro e crudo ma realistico, per tanti (troppi) anni ha calcisticamente mangiato quella cosa marrone che non era propriamente cioccolato. 

Tra i problemi di questi mesi il principale mi sembra quello dell’attacco. Manifestando perplessità su Mota, ho invece sempre perorato – in animate discussioni sui social – la causa di Colombo. E continuerò a farlo. Con onestà intellettuale e senza fette di salame sugli occhi. 

Poi, ieri pomeriggio, il post di un autentico mito (al quale nei giorni scorsi avevo inviato il mio libro) mi ha fatto tornare nella dimensione che preferisco, quella dei sogni: con Pradellone saremmo da Europa League. Forse addirittura da Champions. Dove entra tra mille brividi biancorossi la sua frase: “Orgoglioso di essere stato protagonista del Monza”. E noi sempre grati di aver vissuto quegli anni quando sapevamo di poter contare ad occhi chiusi su un fantastico giovane centravanti. Che - come certi vini della sua meravigliosa terra - invecchiando conferma di essere (anche) un grande uomo.  Fiorenzo Dosso