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Claudio Sala e Fiorenzo Dosso
Claudio Sala e Fiorenzo Dosso

Non vedevo una partita in tribuna stampa dal 6 settembre 2014: Renate-Monza 2-3. A Meda. Trasferta – in tutta onestà – per modo di dire … Da allora sempre in curva. Al seguito del Monza e del Toro. Tante trasferte, tutte in curva ospiti. Stavolta – davvero – sarei stato in difficoltà. Non per i patemi legati al risultato: per fortuna non ce n’erano. Non per risvolti di classifica: contavano il giusto. Sarei stato in difficoltà per come sono fatto (male) io. All’andata era stato relativamente facile: prima assoluta del Monza in Serie A, il sogno di una vita coronato a 58 anni suonati. Stavolta – davvero – sarei stato in difficoltà. Perché il Monza è il bambino che andava al Sada con papà e conosceva a memoria la formazione del Grande Torino, il Toro è l’uomo che ha ritrovato entusiasmo genuino grazie al purissimo spirito granata di mia moglie Brunella. Che proprio in base a quello spirito mi ha convinto ad andare a Pisa (quasi) un anno fa. Perché il Monza è da sempre parte di me, il Toro è diventato per sempre parte di me. Perché il Monza è la dimostrazione che si nasce tifosi di una squadra, il Toro è la dimostrazione che si può (anche) diventare tifosi di una squadra. Perché Monza e Toro non sono, non saranno mai nemici. Avversari due volte l’anno, amici per gli altri 363 giorni. Come vuole la storia piena di intrecci di uomini tra i due club. A partire dal più grande di tutti, Gigi Radice. L’unico dei tanti magnifici ex che mi ero ripromesso di citare. Per non rischiare dimenticanze imbarazzanti e per non scontentare nessuno. Proposito che va puntualmente in frantumi un’ora abbondante prima della partita quando mi imbatto in Claudio Sala. Ca va sans dire. “Quanti ricordi col tuo libro! Come sta andando?” Un brivido, una foto che vale già la giornata, soprattutto un sentirsi meno fatto male quando il capitano si lascia andare: “anch’io oggi ho il cuore diviso a metà”.  E subito dopo una immagine piena di dolcezza mi toglie ogni dubbio: Patrizio Sala in tribuna coccola il nipotino che sfoggia con orgoglio la sua maglietta biancorossa. Ebbene si, io tifo Monza e tifo Toro. Chiedo scusa se non riesco a farmi capire ma è così. Esattamente così. La partita scorre tra probanti conferme sui due fronti (Di Gregorio e Ilic), gol di ottima fattura (Sanabria e Caprari) e fumosità rispettivamente assortite (Mota e Karamoh). Non mancano le polemiche per il contatto Rovella-Ricci allo scadere. A mio modesto avviso l’errore principale del mediocre Zufferli è soprattutto nell’esigua entità del recupero: il tempo infinito trascorso in attesa del responso del VAR avrebbe infatti giustificato ben più dei miseri 4’ concessi. Non dirò una parola di più sulla contesa in campo. Anche perché – lo confesso – io mi sono concentrato molto di più sulle emozioni delle due curve. Delle ‘mie’ due curve. A sinistra la maestosa imponenza della Maratona, a destra il fresco entusiasmo della Pieri. A sinistra il ruggito di una storia intrisa di leggenda, a destra la gioia di una stagione piena di favole. Le guardo e le riguardo … Come sono belle le ‘mie’ curve e come sarebbe bello vederle realizzare i rispettivi desideri: a sinistra uscire dall’anonimato del centroclassifica e dare finalmente legittima sostanza al proverbiale orgoglio granata, a destra continuare ad alimentare i sogni biancorossi che sono diventati splendida realtà dopo un’attesa infinita lunga 110 anni.  

Fiorenzo Dosso