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Monza ha (forse da sempre) un problema di identità. Non è nuovo, ma oggi è più evidente che mai. Da anni la città guarda Milano come uno studente insicuro guarda il primo della classe: copiando. Eventi, modelli urbani, linguaggio, persino l’idea di “successo”. Il risultato? Una città che prova a somigliare a qualcosa che non è, perdendo pezzi di sé lungo la strada.

Eppure la verità è semplice e scomoda: Monza non è Milano. E non deve diventarlo.

Il complesso di inferiorità che nessuno vuole nominare

Monza vive all’ombra del capoluogo, ma non per forza di cose. Lo fa per scelta culturale. Ogni volta che si progetta qualcosa, la domanda implicita è sempre la stessa: “Funzionerebbe a Milano?”. Se la risposta è sì, allora si prova a replicare. Male, più in piccolo, spesso fuori contesto.

Un tram che attraversa Monza

Questo atteggiamento genera una città che rincorre, non guida. Che arriva sempre dopo. Che annuncia “la movida”, “la rigenerazione”, “il rilancio”, ma senza una visione autonoma. Milano detta il ritmo, Monza tenta di stare in scia. Con il fiatone.

Eventi fotocopia, anima zero

Negli ultimi anni Monza ha moltiplicato eventi, iniziative, format. Mercatini, festival, installazioni, lucine. Tutto apparentemente giusto. Tutto, però, tremendamente intercambiabile. Potrebbero essere a Sesto, a Rho, a Milano nord. Cambia solo lo sfondo.

Manca una cosa fondamentale: il racconto di Monza. La sua storia, il suo carattere, la sua specificità. Si organizza per “fare movimento”, non per dire qualcosa. Il risultato è una città viva per poche ore e spenta appena cala il sipario.

Monza non è una succursale residenziale

Uno degli errori più gravi è pensare Monza come “la città dove si dorme bene e si vive a Milano”. Una visione comoda, ma devastante. Significa accettare di essere una periferia di lusso. Ordinata, verde, educata. Ma marginale.

Monza, invece, è sempre stata altro: città amministrativa, borghese, produttiva, colta. Con una sua dignità piena. Ridurla a dormitorio ben collegato significa amputarle il futuro. Perché una città che non produce identità finisce per esportare persone.

Giovani, creatività e fuga silenziosa

I giovani lo capiscono prima di tutti. Chi può, se ne va. Non sempre per Milano. Spesso per città più piccole ma più vive, più riconoscibili, più sincere. Il problema non è la mancanza di locali o eventi, ma di spazio simbolico. A Monza è difficile sentirsi protagonisti. Tutto sembra già deciso, già impostato, già “a norma”.

Una città che copia non lascia margini di sperimentazione. E senza sperimentazione non c’è futuro.

Copiare Milano è la scelta più pigra possibile

Dire che Monza deve smettere di inseguire Milano non è snobismo. È realismo. Milano vince su Milano. Sempre. Ha scala, capitale umano, investimenti, centralità. Competere sullo stesso terreno è una battaglia persa in partenza.

La vera forza di Monza potrebbe essere l’opposto: fare cose che Milano non può o non vuole fare. Tempi più lenti. Relazioni più strette. Politiche urbane meno gridate e più concrete. Cultura diffusa, non vetrina.

Tornare a essere Monza, davvero

Monza non ha bisogno di sembrare “cool”. Ha bisogno di essere credibile. Di smettere di chiedere il permesso a Milano per esistere. Di riscoprire la propria dimensione, senza complessi e senza imitazioni.

Perché inseguire Milano è comodo, ma sterile.
Costruire Monza è più difficile. Ma è l’unica strada che vale la pena percorrere.