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monza

L’idea del parco nacque nel 1805, quando Napoleone Bonaparte volle creare una tenuta modello per il Regno d’Italia. Fu il suo architetto di fiducia, Luigi Canonica, a trasformare i campi della Brianza in una scenografia di potere. Ma l’ispirazione partì da più vicino: Giuseppina di Beauharnais, consorte dell’imperatore, desiderava un giardino “più grande di Versailles”. Così nacque un progetto che univa estetica e funzionalità, dove la simmetria dei viali dialogava con la razionalità agricola. Il risultato fu un parco in cui la natura veniva ordinata, addomesticata, elevata a simbolo di modernità.


Le mura del silenzio

A proteggere questo immenso spazio fu costruita una cinta muraria lunga quasi quattordici chilometri. Oggi sembra un dettaglio romantico, ma due secoli fa serviva a tenere lontani contadini, curiosi e bracconieri. Dentro quelle mura si muoveva una corte che alternava caccia e cerimonie ufficiali, esperimenti agrari e spettacoli equestri. Camminando lungo il perimetro, tra i mattoni consumati, si intuisce ancora l’eco di quella separazione tra il dentro e il fuori: la natura come privilegio, non ancora come bene comune.


Le cascine e la scienza della terra

parco di monza

Dentro il parco, le cascine non erano solo luoghi di lavoro: erano veri laboratori di agronomia. La più famosa, la Cascina Frutteto, fu costruita nel 1817 su disegno dello stesso Canonica. Qui si coltivavano piante disposte con precisione geometrica, in un esperimento noto come “giardino matematico”, pensato per studiare la resa agricola e l’uso del suolo. Oggi ospita la Scuola di Agraria del Parco di Monza, mantenendo viva la vocazione didattica di un luogo dove la terra non è mai stata solo paesaggio.


Dalla corte dei Savoia al parco di tutti

Per gran parte dell’Ottocento, il Parco di Monza fu dominio dei Savoia. Le cronache dell’epoca raccontano le lunghe passeggiate di Umberto I, i ricevimenti di corte, le battute di caccia. Poi, lentamente, il parco si aprì alla città. Nel 1818, tredici anni dopo la sua fondazione, venne concesso per la prima volta l’accesso pubblico. Fu una piccola rivoluzione: la trasformazione di un simbolo di potere in uno spazio collettivo. Oggi, tra chi corre e chi legge all’ombra dei tigli, sopravvive quella stessa promessa — che la bellezza, alla fine, non appartiene mai a uno solo.


Un archivio vivente

Il Parco di Monza non è solo il verde che si attraversa in un pomeriggio di sole. È una pagina di storia viva, scritta con muri, cascine e alberi che hanno visto passare secoli e generazioni. In un paese che spesso dimentica le proprie eredità, questo parco continua a resistere come un promemoria silenzioso: che la grandezza, a volte, non si misura nei monumenti, ma nello spazio che lasciamo respirare.