Arcore, la piccola Italia: ville, scandali e tempeste nella città del Cavaliere
Tra il mito di Ercole, le ville nobiliari e il tornado del 2001, cinque curiosità raccontano la vera anima di Arcore: un paese dove si mescolano eleganza, mistero e politica.

Persino sull’origine del nome, ad Arcore, regna l’ambiguità. Gli storici non si sono mai messi d’accordo: c’è chi dice derivi da Ercole, divinità della forza e del coraggio, e chi invece parla di un antico arco romano costruito nei dintorni.
Nessuna certezza, ma entrambe le ipotesi dicono molto. Ercole rappresenta la potenza, l’arco la storia: due ingredienti che, mescolati, descrivono bene il carattere di questo paese, sempre in bilico tra antica nobiltà e voglia di apparire.
Il buen retiro dei nobili milanesi

Molto prima che la parola “villa” evocasse il Cavaliere, Arcore era già un rifugio di ricchi. Nel Cinquecento le grandi famiglie milanesi cercavano qui pace, verde e riservatezza. Nacquero le cosiddette ville di delizia, residenze estive dove si organizzavano ricevimenti e si concludevano affari in giardino.
La più famosa resta la Villa Borromeo d’Adda, un capolavoro neoclassico circondato da un parco di trenta ettari. Dentro, affreschi, stucchi, scalinate monumentali. Fu il salotto dell’aristocrazia lombarda, il simbolo di una Brianza elegante e discreta.
Non a caso ancora oggi, chi varca i cancelli di quella villa, percepisce il profumo di un’Italia che si è sempre sentita al centro del mondo.
Villa San Martino, dal sangue alla politica
Poi c’è Villa San Martino, la più famosa e la più chiacchierata. Oggi è sinonimo di potere e di politica, ma prima di diventare la residenza di Silvio Berlusconi, fu teatro di un dramma vero.
Negli anni Sessanta apparteneva ai Casati Stampa, nobile famiglia milanese. Il conte Camillo, geloso della moglie, la sorprese con l’amante e li uccise entrambi prima di togliersi la vita. Cronaca nera pura, di quelle che segnarono l’immaginario italiano.
Anni dopo, il giovane imprenditore Berlusconi comprò la villa e la trasformò nella sua roccaforte privata. Da lì partì la scalata che lo avrebbe portato a cambiare la politica italiana. Dal sangue al potere, senza soluzione di continuità: un simbolo perfetto dell’Italia che si reinventa, anche sulle macerie.
Quando Arcore diventò un set
Forse non tutti sanno che Arcore è anche set cinematografico. La Brianza, con le sue colline ordinate e le sue ville maestose, ha attirato più di un regista.
Negli anni Settanta, Il padrone e l’operaio con Renato Pozzetto e Teo Teocoli girò alcune scene proprio tra le vie di Arcore. Negli anni successivi, altri film e documentari hanno usato la Villa Borromeo d’Adda come sfondo ideale: elegante, un po’ decadente, perfetta per raccontare l’Italia del potere e delle apparenze.
Arcore non è Roma né Cinecittà, ma ha lo stesso fascino discreto delle città che si fanno guardare senza vantarsene.
Il giorno in cui arrivò il tornado
Il 7 luglio 2001 Arcore conobbe la furia della natura. Un tornado di intensità F3 colpì la zona con venti oltre i 250 chilometri orari, distruggendo tetti, alberi, auto e negozi. Ci furono decine di feriti e danni per centinaia di miliardi di lire.
In una Brianza che ama la calma, quella tempesta fu un trauma. Le sirene dei vigili del fuoco, le case scoperchiate, la paura che non passa. Ma anche in quel caso, la città si rialzò con ostinazione lombarda: in silenzio, senza piagnistei.
Arcore, insomma, è un microcosmo dell’Italia stessa. Ha le sue glorie e i suoi scandali, la sua bellezza e le sue contraddizioni. Da Ercole ai nobili, dai Casati Stampa al Cavaliere, fino al tornado che spazzò via tutto tranne l’identità.
Non è solo un nome sui giornali: è un pezzo di Paese dove storia, cronaca e mito convivono senza vergognarsene.
E come spesso accade in Italia, tutto cambia — tranne il fatto che, nel bene o nel male, ad Arcore succede sempre qualcosa.