Grande Fratello, i 5 vincitori più epici di sempre: uno di loro fu rapito da bambino
Storie vere, vittorie divisive e un reality che, allora, sapeva ancora sorprendere
C’è stato un tempo in cui vincere il Grande Fratello significava entrare nella storia della televisione italiana. Non bastava piacere: bisognava incarnare un’epoca, rappresentare un cortocircuito sociale, lasciare una traccia che andasse oltre il televoto del venerdì sera.
Oggi il reality vive di dinamiche prevedibili, personaggi già pronti e narrazioni guidate. Ma non è sempre stato così.
Ripercorriamo allora i 5 vincitori più epici del Grande Fratello, quelli che hanno davvero segnato il programma e, nel bene o nel male, il pubblico.
Cristina Plevani (Grande Fratello 1): la nascita di tutto
Cristina Plevani non è solo una vincitrice: è l’atto fondativo del Grande Fratello.
Nel 2000 il reality era un esperimento sociologico, non un prodotto seriale. Nessun manuale, nessuna strategia, nessuna consapevolezza mediatica. Cristina vince perché è vera, fragile, imperfetta.
Il pubblico non vota un personaggio, ma una persona. È una vittoria irripetibile, figlia di un’ingenuità televisiva che oggi non esiste più. Senza di lei, il Grande Fratello non sarebbe mai diventato quello che è stato.
Flavio Montrucchio (Grande Fratello 2): l’eroe popolare
Se Cristina rappresenta l’origine, Flavio Montrucchio segna la normalizzazione del fenomeno.
Bello, educato, rassicurante, lontano dagli eccessi. La sua vittoria trasforma il GF in un programma da prima serata per famiglie.
Con Montrucchio nasce l’idea del vincitore “presentabile”, quello che può uscire dalla Casa e diventare volto televisivo stabile. Non a caso, il suo percorso post-reality è uno dei più solidi. È la prova che il GF può creare carriere, non solo scandali.
Serena Garitta (Grande Fratello 4): l’intelligenza che sorprende
In un’edizione già più costruita, Serena Garitta spiazza tutti. Non urla, non provoca, non cerca il conflitto a tutti i costi.
Vince grazie a ironia, lucidità e capacità di leggere le dinamiche senza farsi schiacciare. È una vittoria contro gli stereotipi femminili del reality.
Serena dimostra che anche nel Grande Fratello si può vincere senza diventare macchietta. Una lezione che il programma, negli anni successivi, dimenticherà spesso.
Augusto De Megni (Grande Fratello 6): l’anti-format

Augusto De Megni resta uno dei vincitori più spiazzanti e complessi nella storia del Grande Fratello. Non aderiva a nessun archetipo televisivo: non cercava consenso, non costruiva alleanze, non recitava. Stava lì, semplicemente, ed era questo a disorientare pubblico e coinquilini. La sua vittoria fu una rottura netta con il format che stava già irrigidendosi. A rendere il suo percorso ancora più particolare contribuiva una storia personale segnata da un trauma profondo: un rapimento subito in gioventù, evento che aveva lasciato ferite evidenti nel suo modo di relazionarsi e di stare nel mondo. Nulla di spettacolarizzato, nulla di usato come leva emotiva. E proprio per questo Augusto risultò autentico, irriducibile, impossibile da addomesticare. Vinse non perché “piaceva”, ma perché rappresentava tutto ciò che il Grande Fratello, in teoria, avrebbe dovuto continuare a essere: un esperimento umano, non un copione.
Mauro Marin (Grande Fratello 10): l’ultimo vero shock
Mauro Marin non è stato un semplice concorrente. È stato un problema per il Grande Fratello.
Divisivo, provocatorio, scomodo, ha messo a nudo i meccanismi del reality come nessun altro. Ha rotto la quarta parete emotiva, costringendo pubblico e produzione a confrontarsi con un personaggio ingestibile.
La sua vittoria segna l’ultimo momento in cui il GF riesce davvero a far discutere il Paese, non solo i social. Dopo di lui, il programma non tornerà più a quel livello di impatto.
Quando vincere significava contare davvero
Questi cinque nomi raccontano un’epoca in cui il Grande Fratello era ancora capace di sorprendere, dividere, influenzare il dibattito pubblico.
Oggi i vincitori passano, scorrono, vengono dimenticati. I reality restano, ma senza lasciare cicatrici.
E forse è proprio questo il vero segno dei tempi: non è cambiato solo il programma. È cambiato il pubblico.



