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Pierluigi Casiraghi, indimenticato centravanti biancorosso cresciuto nella ricca fucina monzese degli anni '80, ha rilasciato un'intervista al collega Matteo Fumagalli per il giornale "Sprint e Sport", edizione Lombardia. Andiamo a riprendere alcuni stralci in cui parla del Monza, con cui ha gonfiato le reti avversarie 28 volte su 94 match disputati tra il 1985 e il 1989, prima di approdare alla Juventus di Giampiero Boniperti e allenata da Dino Zoff. Coi brianzoli il potente corazziere Pigi ha alzato tra l'altro una Coppa Italia di C e ottenuto una promozione in B, sempre nel 1988, dando un contributo di 12 gol nel campionato di C1. Ecco le sue dichiarazioni:

Sei uno degli ultimi calciatori famosi ad essere uscito dall'oratorio.

"Le cose erano molto diverse, si stava delle ore a giocare con gli amici in strada o all'oratorio ma obiettivamente si imparava molto meno, sia tecnicamente che tatticamente ai ragazzi non si poteva insegnare chissà cosa. Nelle scuole calcio ora ci sono tecnici preparati che riescono a trasmettere conoscenze preziose per i bambini, poi chiaramente so benissimo che stare coi compagni solo un paio di volte a settimana non aiuta a fare gruppo o diventare amici. Anche il calcio va di pari passo col modello di società, cambiamo usi e costumi quindi anche lo sport si è un po' adattato a questo. I giocatori sono ormai delle piccole imprese, è impensabile riproporre le dinamiche che ho vissuto quando ero bambino".

Se ti dico Monza?

"E' la città in cui vivo. Dopo l'esperienza all'oratorio di Missaglia sono entrato, a 10 anni, nel settore giovanile biancorosso, facendo poi tutta la trafila e, grazie ad Alfredo Magni, ho avuto il piacere di esordire giovanissimo in prima squadra (Monza-Casertana di Coppa Italia, il 4/9/85 ndr). Il legame è forte, sono stati gli anni della formazione e delle consacrazione, c'era una società molto brava a far crescere i ragazzi e lanciarli ad alto livello; dopo anni burrascosi finalmente si vede la luce in fondo al tunnel, è concreta la possibilità di arrivare a quel traguardo finora mai raggiunto, ovvero la Serie A. I tifosi meritano una gioia simile, il seguito sarebbe ancora maggiore se la squadra raggiungesse certi traguardi e l'entusiasmo portato dalla nuova gestione è contagioso. Ricordo ai miei tempi lo stadio Sada, era piuttosto piccolo ma regalava un'atmosfera calda, quasi da calcio inglese, e ti dava qualcosa in più nelle partite casalinghe; ho giocato anche al Brianteo ed effettivamente è stato un progetto edilizio sbagliato, le tribune lontane dal campo non permettono ai tifosi di trasmettere passione e calore e in campo te ne accorgi. Tornerei ad allenare il Monza in A? Sinceramente penso di no, la storia insegna che è molto difficile essere profeta in patria e qui ho già dato come tecnico delle giovanili".

L'intervista integrale è su "Sprint & Sport" di lunedì 1 giugno e su "Il Giornale di Monza" del 2.