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1 maggio 1975. Giovedì. Naturalmente giorno di festa. Poi ci sarebbe stato quello che i grandi chiamavano ‘ponte’. Niente scuola neanche venerdì e sabato. Ma la mia allegria non era dovuta a quello perché andare a scuola mi piaceva. In un cielo di un azzurro terso splendeva un sole fantastico e caldo: dopo un lungo, rigido inverno ed un inizio di primavera molto capriccioso si stava – finalmente – avvicinando la bella stagione, quella che da sempre preferisco. Ma la mia gioia non era dovuta al clima che viaggiava spedito verso la pur agognata estate. La mattina andammo con papà a trovare il nonno al Cederna e la radio sulla credenza trasmetteva la classifica della Hit Parade italiana di quella settimana: primo posto per Domenico Modugno con ‘Piange il telefono’. Pochi giorni prima quella canzone mi aveva trasmesso una dolce malinconia ma stavolta no. Subito dopo pranzo divorai le pagine sportive de Il Giorno: a tre giornate dal termine i non simpatici pigiami di Torino avevano ipotecato l’ennesimo scudetto (secondo il Napoli di Vinicio) mentre le milanesi erano in piena crisi (5° il Milan, addirittura 9° l’Inter) ed il super bomber granata Pulici si apprestava a vincere la classifica cannonieri davanti a Savoldi. Ma non era il calcio di Seria A che mi elettrizzava quel giorno. Ogni tanto lanciavo una occhiata piena di impazienza all’orologio aspettando invece pazientemente la chiamata liberatoria. Che arrivò alle 14.30: “Fiore, andiamo.”

Ero già stato qualche altra volta al Sada. Sempre nella mitica Gradinata Centrale. Stavolta però papà aveva avuto due biglietti omaggio per la Tribuna Numerata. Ho fatto una ricerca d’archivio e ho trovato la locandina di quella partita pubblicata sul settimanale Il Cittadino: nella foto d’epoca si possono vedere i prezzi dei biglietti di allora. Un sorriso ed un sospiro. All’appena undicenne che ero, 6.000 lire apparivano certo una somma molto elevata eppure – abituato alla lotta domenicale per trovare un angolino di visione decente dai gradoni facendomi faticosamente largo tra i grandi o alle schermaglie con gli altri ragazzini per la miglior sistemazione possibile nel fossetto – l’interrogativo che dal giorno prima mi frullava per la testa era soprattutto: “chissà come si sta comodi e come si vede bene da lassù ?” E mentre insieme a papà percorrevo il tratto interno di fianco al busto di Sada mi sembrava di avviarmi verso il paradiso. Cuore in gola per la gioia.

Da 'Il Cittadino' la locandina della gara di cui si parla in questo Amarcord

Ore 15.30: Monza-Spezia. Ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia di Serie C: la gara di andata era finita 1-1 (Berlucchi per il Monza, Frigerio per lo Spezia). Avendo ancora un lumicino di speranza in campionato nell’inseguimento della capolista Piacenza, Magni – che pochi mesi prima era subentrato a David – lasciò a riposo parecchi titolari e schierò: Colombo, Zabotto, Maiani, Trinchero, Michelazzi, Zandonà, Corti (1’ st Garavaglia), Patrizio Sala, Berlucchi (25’ st Frascolla), Buriani, Francesco Vincenzi. Ero talmente emozionato (e felice di poter finalmente vedere benissimo, comodamente seduto e senza affanni) che della partita ricordo nitidamente il gol decisivo di Buriani ad inizio ripresa con una micidiale sventola all’incrocio dei pali.

Ma l’emozione della mia ‘prima volta’ nella Tribuna del Sada mi segnò al punto che da quel pomeriggio elessi – pieno di riconoscenza – Benito Michelazzi (ovvero colui che ci fece avere i biglietti per interposta persona) come miglior stopper della categoria. Cosa che, peraltro, il campo confermò per almeno un paio d’anni. Senza se e senza ma. Dopo quella lussuosissima parentesi tornai alle mie domenicali battaglie per la conquista di una visione decente in gradinata centrale e spesso guardavo verso la Tribuna sospirando e provando un pizzico di sana invidia nei confronti di chi si godeva lo spettacolo del Monza molto più comodamente di me. Avevo da poco 11 anni, ne sono passati ben 47 da allora, eppure le fantastiche sensazioni di quel pomeriggio inondato dal sole restano indelebili nella testa e nel cuore. Perché chi da adulto coltiva le emozioni vissute da bambino è un sognatore destinato a vincere sul tempo che inesorabilmente passa.

Fiorenzo Dosso